martedì 27 maggio 2008

La fusione fredda funziona

Giappone, la fusione fredda funziona
Riuscito l'esperimento del professor Arata


di Laura Bogliolo
ROMA (22 maggio) - La fusione fredda sembra funzionare correttamente. Parola, anzi "fatti" di Yoshiaki Arata, 85 anni, una vita per la ricerca, che oggi, alle 19.30 ora locale all'Università di Osaka in Giappone, in un esperimento aperto al pubblico di esperti e a pochissimi giornalisti, ha sconvolto ogni teoria scientifica.

L'esperimento.
La prova è stata compiuta inserendo in un contenitore di acciaio riempito di deuterio gassoso nanoparticelle di una lega composta da palladio-zirconia. Il professore ha osservato le reazioni termiche e ha calcolato che il calore sprigionato è di 100 volte più forte se si fosse utilizzato l'idrogeno. L'energia sprigionata ha attivato un piccolo motore termico che ha azionato, a titolo dimostrativo, un ventilatore o un piccolo alternatore che ha acceso dei Led. Alla fine dell'esperimento Arata ha riscaldato le nanoparticelle di palladio e analizzato il gas rimasto intrappolato. Dall'analisi è emerso che si trattava di Elio 4, prova che c'è stata una fusione fredda. Con 7 grammi di palladio-zirconia si calcola che siano stati prodotti oltre 100 k-joule, reazione cento volte più intensa di qualunque reazione chimica nota.
Arata phenomena. La fusione fredda, ossia la Condensed-matter-nuclear-science, dunque sembra funzionare. Alla fine dell'esperimento il pubblico riunito ha deciso di chiamare la scoperta "Arata phenomena", decisione che ha emozionato il professore che ha ringraziato con un solenne inchino.

L'opinione degli esperti. Un grande passo nella ricerca scientifica quindi, come conferma Francesco Celani, primo ricercatore dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. «Si apre una nuova possibilità - ha spiegato Celani - in questo modo non vengono prodotti elementi radioattivi». Celani, collega e amico di Arata, subito dopo l'esperimento ha sentito il professore giapponese. «Mi ha detto che stava festeggiando - ha raccontato Celani - era molto contento, e scherzando mi ha detto che stava bevendo finalmente vicino a una bottiglia di sachè e non a una bobola in acciaio con deuterio...». L'esperimento rimane comunque dimostrativo come sottolinea il professore di fisica nucleare: «Le nanoparticelle di palladio sono estremamente costose - spiega Celani - la loro fabbricazione è complessa. Sulla Terra c'è poca disponibilità del materiale, la sua concentrazione è di 5 volte superiore a quella dell'oro, ma non basta». Il palladio è la stessa sostanza che viene usata anche per purificare i gas di scarico tramite le marmitte cataliche. Ogni marmitta ne contiene un grammo. La nuova frontiera quindi è trovare materiale che si comporti come il palladio ma costi di meno.

Si aspetta la pubblicazione scientifica. Il fisico Carlo Cosmelli, dell'università di Roma La Sapienza sottolinea che «negli ultimi anni le dimostrazioni sulla fusione fredda sono state numerose, ma nessuna è stata significativa». Soprattutto in Giappone, in Francia e negli Stati Uniti sono stati presentati test che però, una volta ripetuti a distanza di mesi da altri gruppi di ricerca, hanno dimostrato che l'energia prodotta alla fine era equiparabile a quella dell'energia immessa. «Inoltre - ha aggiunto Cosmelli - mi aspetterei che l'annuncio di un successo fosse accompagnato da una pubblicazione scientifica».

La fusione fredda. Da circa 20 anni molti scienziati fanno test sulla fusione fredda, ossia il processo di fusione di atomi con sviluppo di energia che riproduce a temperatura ambiente fenomeni analoghi a quelli che avvengono nel cuore delle stelle. Spesso si usano materiali molto semplici, sulla scia di quanto fecero il 23 marzo 1989 i chimici dell'università americana dello Utah, Martin Fleischmann e Stanley Pons.

Fonte: http://www.ilmessaggero.it

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Citycat: l'automobile ad aria compressa


Non inquina, è economica e fare un pieno costa meno di due euro. Entro un anno la Tata produrrà le prime seimila vetture ad aria compressa al posto della benzina. Dall'India arriva Citycat, l'auto del futuro.
Arrivate al distributore con la macchina in riserva, ma mentre tutti gli altri fanno la coda alla pompa di benzina, voi andate direttamente alla colonnina d'aria per controllare la pressione delle ruote. Infilate il tubo nel serbatoio e... pfft! in 3-4 minuti avete fatto il pieno.

Passate alla cassa, versate un euro e mezzo (contro i 60-70 degli altri) e ripartite sereni. La vostra macchina ad aria vi porterà per altri 200 chilometri fino al prossimo pieno. Non è un cartone animato e neanche uno spot visionario di qualche gruppo estremista dell'ecologia.

Dietro il progetto c'è la Tata, il più grande gruppo automobilistico indiano, appena reduce da un ambizioso accordo strategico con la Fiat. E, se tutto andrà come previsto, con qualche piccolo aggiustamento (ci vorrà un compressore ben più potente di quello delle ruote per sparare 340 litri di aria nel serbatoio), quella scena comincerà a svolgersi in India fra poco più di un anno, nell'agosto 2008, quando la Tata metterà in commercio le prime seimila Citycat, macchine ad aria compressa capaci di andare a 100 km l'ora e a emissioni zero, neanche una molecola di anidride carbonica e di effetto serra.

E l'India sarà solo il primo passo: ci sono già accordi per portare la Citycat in 12 altri paesi, fra cui Germania, Francia, Usa, Spagna, Brasile, Israele e Sud Africa.

Ai profani, il motore ad aria compressa appare un incrocio fra la locomotiva a vapore e il vecchio, caro fucile Flobert dei giochi di antichi bambini. L'idea non è nuova. Guy Nègre, la cui Mdi è il partner della Tata nel progetto, ci lavora, con alterna fortuna e parecchie false partenze (compresa una italiana, con la Eolo) dal 1991.

Sostanzialmente, si tratta di un motore a due cilindri, dentro cui si muove un pistone. Grazie ad un particolare design, il pistone non si muove in sincronia con l'albero motore. Per il 70% del tempo di rotazione dell'albero motore, il pistone resta fermo in cima al cilindro, consentendo alla pressione interna di crescere. Questo ritardo aumenta l'efficienza complessiva del motore, che si mette in azione quando l'aria compressa, sparata nel cilindro, fa muovere il pistone, esattamente come succede con il motore a scoppio.
Quando l'auto si ferma, si ferma anche il motore, che riprende a funzionare quando si pigia l'acceleratore. Non ci sono marce, sostituite da un computer. Semplice com'è, richiede manutenzione praticamente zero e un cambio d'olio ogni 50 mila chilometri. Anche le emissioni di anidride carbonica sono zero, salvo quelle legate all'elettricità per far funzionare il compressore al momento del pieno.
Ad aria, però, non si va più veloce di 50 chilometri l'ora, cioè in città. Su strada - come accade anche con le ibride benzina-elettricità - entra in funzione un normale motore a scoppio. In compenso, non c'è bisogno di andare dal distributore, per l'aria. A casa, si attacca la spina della corrente e un compressore interno, in 4 ore, ricarica il serbatoio. Un po' come accade per le più avveniristiche macchine elettriche.


Il costo di esercizio della Citycat è più o meno lo stesso di una macchina elettrica. Senza le batterie, però. Infatti, costa molto meno: la Tata dovrebbe commercializzarla ad un prezzo di 12.700 dollari, un decimo di una macchina elettrica. Per non parlare della macchina ad idrogeno, rispetto alla quale la Citycat ha anche il vantaggio di non richiedere la creazione di una costosa rete alternativa di distribuzione del combustibile.

Per come funziona, è gratis anche l'aria condizionata: quella che esce dal tubo di scappamento è, infatti, a meno 15 gradi. Il rovescio della medaglia è la difficoltà di riscaldare l'abitacolo e, forse anche per questo, Guy Nègre sembra guardare soprattutto a paesi caldi.

La temperatura dell'aria è anche all'origine del più consistente dubbio che i tecnici avanzano verso il motore ad aria compressa. L'aria così fredda, infatti, gela la condensa nei condotti di aspirazione, bloccandone il funzionamento.

Non è ancora chiaro come Nègre abbia risolto questo problema. Anche una Citycat perfettamente funzionante, peraltro, incontrerà seri ostacoli sui mercati occidentali. Per arrivare alle prestazioni dichiarate, infatti, l'auto deve essere straordinariamente leggera, e la Citycat è quasi tutta in fibra di vetro, molto fragile per reggere i normali test di sicurezza.

La Citycat, infine, potrebbe arenarsi in tribunale. Se Nègre è stato il profeta dell'auto ad aria compressa, altri ci hanno lavorato, come l'uruguayano Armando Regusci. Secondo alcuni, l'ultimo progetto di Nègre assomiglierebbe un po' troppo a quello brevettato da Regusci.
Se la Citycat arriverà su strada, aspettatevi una battaglia di brevetti.

Questo articolo è stato pubblicato originariamente da Maurizio Ricci su http://www.laleva.org, il 6 giugno 2007, con il titolo "Arriva la Citycat la macchina ad aria compressa al posto della benzina", sotto licenza Creative Commons 1.0.
Fonte: http://altraeconomia.blogspot.com

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50 KM con 1 litro eppure non si fa

E’ di ieri (22 maggio) l’annuncio del ritorno al nucleare dell’Italia.
Sembra di capire che i partiti maggiori sono più o meno tutti d’accordo.
Al di la dei costi di realizzazione, della reale o presunta pericolosità, del problema dello smaltimento delle scorie radioattive, rimane il fatto che l’energia nucleare viene presentata da tempo, dalla principale stampa, come l’unica seria alternativa al petrolio.
Ho molti dubbi in proposito ma non essendo un esperto non mi esprimo.

Ora, però, mi sono più comprensibili le pastoie burocratiche create in passato, e tuttora vigenti, per poter mettere in funzione un impianto fotovoltaico.
Mesi di attesa per ricevere l’autorizzazione ad allacciare in rete pannelli già acquistati e pagati da tempo, rimborsi ENEL che arrivano solo dopo 1 anno, ecc., ecc.
Chissà se questi ritardi sono collegati ai rumors del ritorno del nucleare in Italia da qualche tempo sussurrati in parlamento e non solo.
Guai se per caso in Italia fossimo arrivati ad avere una significativa produzione di energia con il fotovoltaico, come in Germania e in Austria.
Chi li avrebbe sopportati gli strali dei padroni dell’energia?
Quali pretesti usare per il ritorno al nucleare?
In ogni caso si parla di un tempo di attesa di almeno 6-7 anni per le prime realizzazioni di impianti nucleari (che nel bel Paese diventeranno almeno 10).
Nell’attesa continueremo a consumare petrolio e derivati, subendone gli aumenti di prezzo decisi a tavolino nel corso di una delle ultime riunioni del gruppo Bilderberg.

Nel campo dei trasport privati il mercato automobilistico offre le seguenti scelte:
Motori a benzina o gasolio;
Motori ibridi a benzina / GPL o Metano;
Motori ibridi elettrici / benzina;
Motori elettrici.

Ho un’auto ibrida benzina/GPL che va sostituita.
Il prezzo del GPL segue quello del petrolio (il GPL in 4 anni è passato da 0,50 a 0,70 centesimi di euro al litro).
Mi oriento quindi su una ibrida elettrica.
Mi informo da un rivenditore Toyota per l’acquisto della Prius.
Prezzo: da 23.000 a 25.000 euro, secondo gli allestimenti, valore già scontato dell’incentivo statale di 2.000 euro (così mi dicono).
Grazie al motore elettrico che opera sino a 50 km di velocità, i consumi dell’autovettura si aggirano intorno ai 20-25 km con un litro di benzina.
Interessante ma non eclatante.
Possibile che si debba continuare ad andare con un motore a scoppio che ha una tecnologia vecchia di oltre 130 anni?
Possibile che in questo settore non vi siano state innovazioni mentre in altri settori la tecnologia in essere 100 anni fa è considerata preistoria?
Che la lobby del petrolio controlli tutte le società che producono mezzi di trasporto?
Il sospetto è lecito.
Vado su internet e mi informo allora sulle auto elettriche (suggerisco di cliccare «auto elettriche» con Google. In un paio d’ore vi fate una cultura).
Vi sono diversi modelli: si va dalle city car a vere e proprie ammiraglie.
Il costo d’acquisto è elevato (si parte da 30.000 euro circa) ma è compensato in gran parte dal fatto che per una ricarica completa di energia, che garantisce una percorrenza di 150-160 km, si spende meno di 1 euro alle le attuali tariffe elettriche (si, avete letto bene: meno di 1 euro per 160 km).
I punti deboli sono altri: innanzi tutto la scarsa autonomia (non si arriva quasi mai a 200 km) e poi
i tempi di ricarica, che sono di almeno 2-3 ore.

In Finlandia l’attuale governo sta ovviando a questa situazione con la creazione di una rete per
la sostituzione di batterie in luogo delle attuali stazioni di servizio: l’automobilista si ferma, viene sostituita la batteria scarica con una carica, e riparte.
Non si paga la batteria, ma solo il servizio di ricarica.
Questo elimina in un sol colpo la scarsa autonomia ed il tempo di ricarica rendendo competitive
le auto elettriche rispetto a quelle con motore a scoppio.
Con questo sistema non vi sarebbero nemmeno scompensi sociali ed economici nel settore della distribuzione dei carburanti: le attuali stazioni di servizio verrebbero riconvertite nell’attività di sostituzione e ricarica delle batterie.

Sembra un sogno, tanto è semplice.
Eppure non si fa.
Lo stanno facendo in Finlandia.
Ma da noi nemmeno lo si dice.
Perché?
Sempre su internet mi informo meglio sulle auto elettriche e mi imbatto nella seguente notizia (tratta da un sito che si occupa principalmente di risparmio enegertico): … «Ma ancor più interessante è la possibilità di modificare alcune auto ibride che nascono con trazione mista benzina /elettrica per aumentarne di molto le prestazioni e per avvicinarsi al mondo delle auto elettriche in maniera più soft, …. Stiamo parlando ad esempio del kit plug-in (commercializzato nel suddetto sito alla sezione trasporto sostenibile) che permette di trasformare una normale Toyota Prius in una macchina puramente elettrica per almeno 50 km»…
L’articolo prosegue informando che in tal modo la Prius con 1 litro di benzina percorrerebbe 50 km.
50 km con un litro di benzina!
Non male davvero.
Telefono e mi informo meglio.

Scrivo anche ad un altro sito che si dedica al mondo dei veicoli elettrici e ricevo la medesima risposta: con questa modifica la Prius può percorrere 50 km circa con 1 litro di benzina.
Mi spiegano, però, che il kit in realtà è rappresentato dalla sostituzione delle attuali batterie utilizzate sulla Prius con altre al Litio più efficienti e moderne, da tempo presente sul mercato.
La sostituzione delle batterie tuttavia costa 12.000 euro e, soprattutto, fa cessare la garanzia su quelle vecchie.
Quindi l’operazione non è conveniente su una Prius nuova.
Chiedo allora al mio interlocutore perché queste batterie non sono montate già all’origine sulla Prius.
Tutti acquisteremmo un’auto che fa 50 km con un litro di benzina!
Risposta: proprio per questo non vengono montate.
Se no il petrolio a chi lo vendono?

50 km con 1 litro di benzina.
Eppure non si fa!
A chi giova? Inutile dirlo.
La risposta è nota a tutti.
Ma vi è un’altra notizia ancora più clamorosa che riguarda un’auto che va ad aria compressa nota
in Italia come «Eolo».
Quest’auto era stata presentata ufficialmente a Roma nell’aprile del 2001.
Poi è scomparsa.
Una piccola ricerca su internet porta a scoprire che l’autovettura esiste ancora ed è commercializzata a Carros, un piccolo paese vicino a Nizza (Francia) da una società che si chiama MDI Enterprises SA.
Ne commercializzano diversi modelli, ad un prezzo contenuto (9.700 euro per una city car).
L’auto non inquina, consente di percorrere 130 km ad un costo praticamente irrisorio (qualche centesimo di euro), e viene fornita con tanto di generatore per la ricarica.
Recentemente è stato firmato un accordo con la TATA per la produzione e la vendita di queste auto in India (ma solo in India).
Vi è tanto di modulo d’acquisto sul sito dell’azienda ma se lo compilate non ricevete alcuna risposta.

Mi informo e vado a Carros.
Scopro che l’azienda è stata fondata da un ex progettista Renault noto in Formula 1 negli anni ‘80, l’ingegner Guy Negre, il quale abita a San Remo (Italia) e va avanti e indietro da Carros con questa autovettura.
L’azienda, così mi dicono, non vende fuori Francia.
E’ però interessata a sottoscrivere contratti per la produzione dell’auto ad aria compressa su licenza in Paesi terzi, inclusa l’Italia.
Costo dell’operazione: oltre 6 milioni di euro più royalty annuali sulle vendite.

Me ne torno in Italia con le pive nel sacco, ma riprovo con un amico francese ad acquistare la macchina.
Vengo così a sapere che il motivo delle mancate vendite è dato dalla difficoltà di brevettare l’autovettura, con conseguente rischio che possano copiarla, per il semplice motivo che
il compressore ad aria compressa usato per le auto era già funzionante nel comune di Lille (Francia) dal 1919 al 1956.
Poi nel ‘56 venne eletto sindaco della città un ex dirigente di una nota casa automobilistica e tutto andò in soffitta.
Dal 1919, subito dopo la fine della I guerra mondiale, e sino al 1956, l’intera rete tranviaria di Lille andava ad aria compressa, senza inquinare e al solo costo della manutenzione degli impianti.
L’informazione è tuttora verificabile presso gli archivi comunali.
E allora perché non si fa?
Chi ci sta prendendo per i fondelli?

Il problema non è solo economico.
Nelle città italiane non si respira più.
I disturbi alle vie respiratorie sembrano in certi momenti dell’anno delle vere epidemie.
Quelle poche volte che vado in bicicletta a Milano anche per poco me ne torno con gli abiti sporchi dallo smog.

Non stiamo parlando di cospirazioni.
Stiamo parlando dell’aria che respiriamo tutti i giorni e facciamo respirare ai nostri figli.
E tutti fanno finta di non accorgersene.
Come se il problema non ci fosse o non li riguardasse.
Ma morire di tumore ai polmoni per arricchire i petrolieri mi sembra un po’ troppo.

Claudio Bianchini

Fonte: www.effedieffe.com

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