giovedì 29 maggio 2008

Per non dimenticare.....


Chernobyl Decay and Deformed



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Nucleare? No, grazie


Il comitato di affari PDL e PD-meno-elle ha deciso che il nucleare si deve fare. Il futuro economico, energetico, industriale dell’Italia è legato al nucleare. I media si sono subito allineati, sanno che l’opinione pubblica è contraria. Nelle prossime settimane, nei prossimi mesi, attraverso dati, pubblicazioni scientifiche, testimonianze, video, interviste dimostrerò il contrario. Non è difficile.Nucleare? No grazie.Nel 1987 venti milioni di italiani hanno votato un referendum contro il nucleare. Scajola e la Marcegaglia contano più della volontà degli italiani? Chi li autorizza a prendere decisioni a nome del popolo italiano?Si vuole il nucleare? Si tenga un nuovo referendum. Se gli italiani voteranno a favore, allora si potrà fare. Altrimenti no. Non si possono costruire centrali nucleari ignorando il risultato di un referendum popolare.Scajola vuol fare lo sconto sulla bolletta a chi acconsentirà alle centrali nucleari vicino a casa. Dia lui l’esempio con una discarica di scorie nucleari nel suo giardino. La bolletta gliela pago io.Ci sono molti comuni denuclearizzati in Italia, comuni sovversivi, sobillatori, pericolosi organizzatori di energie alternative. Ma non sono ancora abbastanza. Chiedo ai sindaci di esporre il cartello: “Comune denuclearizzato” sotto il nome del loro paese. E’ il miglior benvenuto per chi lo visita.

Fonte: http://www.beppegrillo.it/


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Vattelapesca forever


Ringrazio Fricca del blog Rododentro per l'immagine

di Carlo Bertani – 28 maggio 2008
“Puoi raggiungere risultati altamente superiori con un team molto motivato, che dispone di macchinari vecchi e fatiscenti dislocati in un vecchio capannone, rispetto a quello che riuscirai a raggiungere con un team demotivato e privo di stimoli, che ha accesso alle migliori attrezzature e infrastrutture.”

Reinhold Würth, imprenditore tedesco che ha costruito, partendo da una ferramenta, un’azienda di levatura mondiale, che occupa 51.000 dipendenti e che spazia dai sistemi di fissaggio ai pannelli solari.
A dire il vero, non meriterebbe nemmeno d’interessarsi alle vicende della misera borghesia italiana, tanto è diafana e poco incisiva nel panorama europeo; verrebbe da dire: lasciamo questi poveri parvenu in SUV al loro misero destino, se il loro fato non intersecasse il nostro.
Era tanto tempo che non s’udiva un condensato di bugie e pessime intenzioni – di tal, miserrimo livello – in una relazione di Confindustria: anche gli imprenditori italiani confermano l’andamento “in picchiata” del Paese.
L’assemblea, che ha accolto Emma Marcegaglia come novella presidentessa degli industriali italiani, è iniziata con un minuto di silenzio per l’oramai quotidiano morto sul lavoro. Probabilmente, sicuri delle statistiche, erano riusciti a programmare già tutto il giorno prima. Avrebbero potuto fare tre ore di silenzio, perché il resto del tempo è servito soltanto a sparare cavolate a fiumi.
La prima uscita è in perfetta sintonia con il minuto di silenzio, per uno dei tanti poveracci che crepano nei lager italiani definiti “luoghi di lavoro”: de-tassazione degli straordinari! Evviva! Siamo con te – echeggiano – Veltrusconi in sala.
Chi ha un minimo di conoscenza del lavoro, anche un semplice delegato sindacale, dovrebbe conoscere gli studi che da decenni si attuano sul rapporto fatica/lavoro, ossia sulla stanchezza del lavoratore.
Senza entrare troppo nei particolari né ingombrare spazio con grafici, si sa che l’attenzione è vigile nelle prime quattro ore di lavoro, poi inizia a decrescere nelle successive due, mentre nelle ultime due finisce per crollare. Non bisogna essere degli scienziati per capirlo: chiunque lavori od abbia lavorato lo sa.
In un Paese flagellato da anni, sempre più, dalla piaga dei morti sul lavoro, la “bella pensata” è quella d’aggiungere altre ore di lavoro all’orario: dai, che così ti porti a casa una bella “busta”! Insieme alla roulette russa.
Veltrusconi plaude.
E’ naturale pensare che, se aggiungiamo ore di lavoro, la fatica aumenta, la qualità del lavoro decresce ed il rischio di farsi male aumenta enormemente.
Risultato: lavoratori sempre più stanchi, maggior incidenza del rischio.
Per lor signori, invece, gli straordinari significano meno persone impiegate (e, quindi, minori costi fissi) ed un maggior sfruttamento del singolo lavoratore. Ne crepa qualcuno? E beh? Quanti minuti di silenzio si possono fare nelle ventiquattr’ore?
Il denaro può rappresentare certo una motivazione, ma se il lavoratore – proprio perché sono sempre meno e lavorano di più – quando torna a casa ritrova i figli disoccupati o sotto-occupati, che fa? S’attacca ai 200 euro di straordinario?
Il modello proposto, e benedetto da Veltrusconi – inutile girare intorno al problema – è quello americano: paghe basse, lunghi orari di lavoro, poche vacanze. Insomma: trotta e galoppa (se ci riesci) in silenzio. E’ sotto gli occhi di tutti quale “miracolo economico” stiano vivendo gli USA con questa impostazione.
E veniamo alla seconda “pensata” di Emma. Per scaldare la platea, è sempre utile dare addosso ai fannulloni, che sono identificati con i maledetti statali. Emma non pensa che, così parlando, demotiva ancor più milioni di statali, ma Emma non ha una cultura dello Stato: d’altro canto, la classe imprenditoriale italiana non ce l’ha mai avuta.
Veltrusconi, in sala, ammicca.
Emma, però, non si è nemmeno informata; allora provvediamo noi a fornirle qualche dato, perché qui siamo oramai arrivati alla nota teoria: “dammi tre mezze bugie e ti costruisco una mezza verità”.
Emma e Veltrusconi non sanno (e, da parte di Veltrusconi, è più grave) che la Ragioneria Generale dello Stato – alcuni mesi fa – aveva promosso una rilevazione su base nazionale per conoscere la situazione delle assenze per malattia nel pubblico impiego. L’esigenza era scattata dopo l’esternazione del predecessore di Emma, il Lucherino da Montezemolo, il quale aveva urlato, inorridito: «Si assentano tre volte i loro colleghi del settore privato! Ci costano 14 miliardi di euro l’anno!». Dovessimo mai fare i conti di quanto ci è costata la FIAT.
Comunque, ecco i giorni d’assenza, elaborati dalla CGIA di Mestre su quelli forniti dalla Ragioneria Generale dello Stato:
Ministeri: 14,31
Corpi di polizia: 13,31
Agenzie fiscali: 13,11
Presidenza del Consiglio: 12,95
Regioni e nelle Autonomie locali: 12,73
Enti non Economici: 12,69
Sanità: 12,40
Enti di ricerca: 11,38
Regioni a statuto speciale e le province autonome: 7,31
La media ragionata, sulla base dei dipendenti in servizio nelle varie amministrazioni eseguita dalla CGIA di Mestre, è di 11,54. Quella dei lavoratori metalmeccanici del settore privato è di 9,6. Differenza: 1,94 giorni l’anno – meno di due giorni! – per un costo di circa 4 miliardi di euro, non 14 come aveva urlato il Lucherino. Va bene che gli zeri davanti non contino nulla, ma gli “ 1” qualcosa contano.
Evidentemente, Lucherino, Emma & Veltrusconi hanno bisogno di qualche ripetizione in Matematica: oppure, dovrebbero tornare a scuola “d’onestà”, visto che i dati sono ufficiali, emanati dalla Ragioneria Generale e disponibili per tutti sul Web.
E due.
Il terzo boccone è di quelli ghiotti, perché Emma si lancia nell’agone energetico: e facciamo ‘sto nucleare! Berlusconi fa finta di dire sì, Veltroni finge di dire no. Ad entrambi, frega assai poco: lasciamola dire. Scajola assicura che sarà posata la “prima pietra” di quattro centrali entro pochissimi anni. All’uomo che osò definire “un rompicoglioni” Marco Biagi, a cadavere ancora caldo, avremmo molti consigli da dare sul come utilizzare quella prima pietra. Ne basterebbe una.
Abbiamo però una buona notizia da fornire ai tanti, infervorati sostenitori dell’atomo: il problema delle scorie è stato risolto!
Non possiamo, ovviamente, rivelare qui le nostre fonti, ma possiamo assicurare che esiste già l’assenso di un Comune italiano per la custodia del materiale nucleare esausto prodotto dalle centrali.
Possiamo rivelare solo il nome del comune: nulla più. Ovvio: c’è il segreto di Stato su tutto, oramai, anche sul rubinetto del gas sul balcone. Lo vuoi spostare? Ti mandano il SISMI.
L’ameno borgo appenninico di Vattelapesca ha già assicurato patron Berlusconi che, grazie ad alcune provvidenziali caverne, sarà possibile stivare nelle profondità della terra tutte le scorie, in modo sicuro e per sempre.
Silvio si è commosso: ha promesso al Sindaco che costruirà nel comune di Vattelapesca Milano 12 e – per almeno un decennio – dagli studi TV che costruirà nella città satellite s’esibiranno ogni sabato sera Maria de Filippi, Mariano Apicella e Mara Carfagna. Come soubrette, ovviamente. Perché: fa dell’altro?
I costi per la ristrutturazione delle caverne sono stati stimati in circa 2,4 miliardi di euro: tutto sommato, un terzo del Ponte di Messina. Un affare: tanto, pagheranno i nostri figli e nipoti.
Un vero e proprio fremito di gioia ha colto la lobby nucleare: pare addirittura che il professor Franco Battaglia, pasdaran dell’atomo, voglia esibirsi in un brano soul intitolato “My sweet reactor”.
I costi dell’impresa sono stati “girati” sulla scrivania di Tremonti il quale – in compagnia dell’inseparabile calcolatrice a manovella – li sta esaminando. Anche qui, grazie ad una “gola profonda”, siamo riusciti a sbirciare.
Le centrali in costruzione saranno quattro, ciascuna per una potenza massima di 1.350 MW: complessivamente 5.400 MW di nuova potenza elettrica, circa 1/10 se la calcoliamo sui picchi di richiesta della rete.
La potenza totale annua che si riuscirà ad ottenere – 24 ore su 24 per 365 giorni – sarà di 47.304.000 MWh, che sarà disponibile per circa 25 anni. Oddio, le moderne centrali durano anche di più, ma dobbiamo considerare i notevoli costi di manutenzione delle stesse su lunghi periodi. Insomma (forse) le attenuanti compensano (difficilmente) le aggravanti.
Quanto renderanno?
Qui, la materia è complessa. I costi del nucleare dipendono in gran parte da chi si assume l’onere dell’arricchimento dell’Uranio: se, come in Francia, sono i militari a farlo, una bella fetta dei costi sembra scomparire. In realtà, cambia solo capitolo di bilancio e viene “spalmata” sulla fiscalità generale.
Altri Paesi, come la Germania – che non hanno armamento nucleare – hanno costi maggiori. Il MIT (USA: paese con armamento nucleare) stimava alcuni anni fa un costo di 65 $ il MWh, mentre in Europa ci si orienta fra gli 82 euro della Francia ed i 118 della Germania. Si tratta di una stima, ricavata dal prezzo di vendita dell’energia alle industrie[1].
L’Italia, non avendo armamento nucleare, s’avvicinerebbe forse di più alla Germania, ma siamo ottimisti: 100 euro il MWh e non ne parliamo più.
Di conseguenza, in quei 25 anni le centrali renderebbero 118.260.000.000 euro di controvalore, ossia circa 118 miliardi di euro.
Fin qui, tutto bene e Tremonti si strofina le mani. Poi, si passa ai costi.
Tremonti non valuta l’andamento del prezzo dell’Uranio – in crescita esponenziale – perché non è suo compito, e nemmeno s’interessa alle stime della IEA[2]: circa 40 anni d’Uranio a questi prezzi ed agli attuali consumi, poi si va al raddoppio (sempre che i cinesi non si “mangino” tutto) per altri 40 anni. Quindi, fine dell’Uranio.
Ovviamente, un sito così importante richiede un’attenta sorveglianza militare: almeno un paio di compagnie più il comando e la logistica. Una cinquantina di dipendenti civili (amministrazione, mensa, comunicazioni, ecc) e siamo a duecento persone, dal fantaccino al grande dirigente.
Ci sono poi i costi fissi per la manutenzione e le compensazioni che il comune di Vattelapesca ha richiesto e che sono state – per ovvi motivi politici – subito accettate.
Riassumendo:
Potenza prodotta in 25 anni: 1.182.600.000 MWh
Controvalore economico: 118 miliardi di euro.
Spese annue:
Stipendi annui (3000 euro mensili medi lordi): 7.800.000 euro
Compensazioni richieste da Vattelapesca: 180.000 euro
Spese di manutenzione (automezzi, energia, comunicazioni, ecc): 45.000 euro
Per un totale di 8.045.000 euro, circa 8 milioni annui. Beh, poteva andare peggio – pensa Tremonti – prima di verificare gli anni di spesa.
Gli anni di spesa sono circa 20.000 – legge dal foglietto che gli ha lasciato Scajola… – e facciamo ‘sta moltiplicazione…
Rattle, rattle, rattle…
Fanno 160.900.000.000 euro, 160 miliardi, quasi una volta e mezza il ricavato d’energia. Tremonti fa spallucce: saranno cavoli dei futuri ministri economici.
Ciò che c’è di veramente allucinante in questa follia è quel numero – 20.000 – che corrisponde a grandi linee al tempo di decadimento delle scorie. Se le centrali inizieranno a funzionare nel 2025 e termineranno – poniamo – nel 2050, nel 22.050, finalmente, a Vattelapesca potranno chiudere baracca e buttare tutto nel cassonetto.
Ma, qualcuno si rende conto di cosa sono 20.000 anni?
Se riflettiamo sulla storia che conosciamo – a partire da tradizioni scritte convincenti – pur esagerando, non giungiamo a 2500 anni. Di questi due millenni e mezzo, solo gli ultimi 200 anni sono stati, in qualche modo, “tecnologici”.
Con una “bordata” alla platea degli imprenditori italiani, Emma non racconta ciò che succederà a Vattelapesca nei prossimi 20.000 anni. Potremmo azzardare:
Nel 3456 un terremoto distrugge l’impianto: ricostruzione totale.
Nel 4215 l’Unione Africana attacca dallo spazio e colpisce Vattelapesca, insieme ad altre 80 città italiane.
Nel 13467 un’epidemia sconosciuta falcia la popolazione ed il sito viene abbandonato…
Siamo alla completa follia.
Qualcuno potrà azzardare che si troveranno altre soluzioni…che nasceranno nuove tecnologie…bla, bla, bla…la realtà, è che oggi questo è lo stato dell’arte, non altro. Vattelapesca forever.
Nessuno, ovviamente, riflette un solo secondo sul significato reale di “20.000 anni” e nemmeno si sogna di comunicare che, negli USA, la produzione eolica reale (non la potenza di picco) ha superato di gran lunga quella nucleare. Che la Danimarca ha raggiunto il 20% di produzione elettrica di sola fonte eolica.
Nei cantucci, qualcuno inizia a far conti: se sommiamo i 7 miliardi del Ponte con i 14 della TAV, più…quanto le centrali? 6-8? Bene! E Vattelapesca? Peccato, solo 2 miliardi…comunque…somma: sant’Iddio, che manna!
E tre: questo è il livello di chi dovrebbe guidarci.
Intanto, in platea, Veltrusconi gongolano e si scambiano battute: «Hai visto, io, con Maroni? 61 anni e 36 di contribuzione!» Attacca Berlusconi. «Niente da fare, amico mio, ti ho battuto con il “mio” Damiano: 62 anni e 37 di contribuzione!», risponde il Veltro. «Siamo una bella squadra», conclude il Berlusca.
La nostra rampante presidentessa ascolta, e riesce ad intendere qualche brandello del dialogo. Qui – pensa – con quei due che blaterano sulle pensioni, corro il rischio di giocare la parte della bella statuina. Supera allora il grande Houdini e rilancia: «Le pensioni? Fine dell’età fissa per andarci (come se esistesse ancora…): “indicizziamo” la pensione alla previsione di vita!» Scroscio d’applausi. Sì, qualcuno aggiunge: così le donne – in una sola “botta” – aumentano d’almeno dieci anni!. Risate, pacche amichevoli: l’atmosfera si galvanizza.
Un tempo s’indicizzavano i salari, ossia la ricchezza prodotta, oggi t’indicizzano gli anni che ti restano da vivere. Ogni anno, l’occupazione nelle grandi imprese decresce pressappoco dell’1% e la produttività, ossia la ricchezza prodotta, cresce dell’identico valore: se vent’anni fa, con 100 operai si costruivano 100 automobili, oggi con 80 se ne fanno 120. Ci saranno pure i costi d’investimento, ma il rapporto fra le retribuzioni degli operai e dei dirigenti è passato da 1:100 ad 1:7000. Traccia evidente delle tasche nelle quali vanno a finire quelle 20 automobili in più, ed il risparmio di 20 operai.
Un anno fa la benzina costava 1,25: adesso 1,50. La pasta 60 cent il pacco, oggi la stessa confezione costa 90 cent. Veltrusconi tace: qui, è meglio non parlare di “indicizzazione”…
In questa “indicizzazione” della vita delle persone c’è tutta la protervia e la spocchia della razza padrona: noi siamo i proprietari delle vostre vite, del sangue e della linfa che scorre nei vostri corpi e ce la aggiudichiamo a colpi di riforme scritte dai nostri lacché veltrusconiani.
Non esiste più una semplice vita, così, senza aggettivi: esiste solo una vita lavorativa, produttiva, fruttifera (per noi eletti). Non può esserci decrescita, scelta, contrazione d’inutili consumi: no, più orpelli sugli scaffali dei supermercati, più vita smarrita fra le catene di montaggio, più soldi per noi e per le nostre banche. Veltrusconi tace ma gongola: sa che avrà la giusta mercede, i trenta denari della tradizione.
La razza padrona finge d’essere il “motore” della Nazione, dimenticando che – senza i muratori – Michelangelo non avrebbe mai costruito la cupola di San Pietro.
Cos’ha costruito questa generazione di padroni del vapore? Ricordo anni lontani, quando ad Ivrea esisteva un’azienda in grado di produrre processori e software almeno di pari livello rispetto alla IBM americana. IBM varava il processore 286, Olivetti rispondeva con l’M24, diventando il secondo produttore mondiale di PC. Passano gli anni e, oggi, ad Ivrea gli stabilimenti Olivetti si sono trasformati nella solita archeologia industriale abbandonata: vetri rotti, ruggine, abbandono, dove un tempo gli Olivetti avevano costruito addirittura gli asili nido interni – tutto vetro, affinché i bambini potessero avere il meglio – per aiutare, e di conseguenza motivare, le loro maestranze. Quella era gente che poteva stare al livello di Reinhold Würth.
Quel che poi è avvenuto ha nome e cognome: Carlo de Benedetti, grande boiardo di Stato, capace d’acquistare la SME per un terzo del suo valore, condannato in primo e secondo grado per la vicenda del Banco Ambrosiano. Assolto poi, provvidenzialmente, dalla Cassazione.
De Benedetti dapprima trasformò un’attività produttiva – Olivetti – in una società di servizi, Omnitel, che infine divenne Vodafone. Si potranno raccontare mille storielle sulla vicenda de Benedetti, ma la realtà è una sola: l’ingegnere torinese, per Ivrea, è stato peggio di Gengis Khan. Deserto.
L’altro bravo messere è morto suicida (almeno, questa è la verità ufficiale), ma vale la pena di ricordare come Raul Gardini riuscì a distruggere la chimica italiana in pochi anni di corruzione e d’incompetenza, a braccetto della classe politica dell’epoca, con l’affaire Enimont. Sono lontani i tempi dei premi Nobel per la Chimica italiani: oggi, la chimica italiana non esiste praticamente più.
Poi, per decenni, lor signori sono andati a braccetto con la classe politica per il “sacco” dei fondi europei: con l’abile trucco d’assegnare alle Regioni la concessione dei fondi – le quali coinvolsero poi le Province – si riuscì a non dare una sola moneta senza, in cambio, ricevere qualcosa. Oggi, mentre Spagna ed Irlanda hanno mantenuto allo Stato la concessione dei fondi, possiamo osservare i risultati: capannoni abbandonati, costruiti in fretta per acchiappare i soldi, per avere i finanziamenti. E dopo?
Dopo…pagheremo un buon avvocato, se necessario, ma il più delle volte non ce n’è stato bisogno. Se un De Magistris scopre l’inghippo – la questione dei depuratori in Calabria, storia di fondi europei – si caccia il magistrato. L’imperativo è uno solo: prendi i soldi e scappa.
Ci sono anche bravi imprenditori, onesti e fantasiosi, che cercano di trasferire nella realtà il parto del loro ingegno: il più delle volte, si vedono surclassati dal furbacchione di turno che cerca solo appoggi politici. Il grave problema – tutto italiano – è che non sono certo questi imprenditori ad essere spalleggiati da Emma: l’interlocutore è, sempre, il potere politico colluso. Se Reinhold Würth è partito da una ferramenta ed ha costruito un impero, anche i Tanzi sono partiti da una salumeria: il primo si è espanso anche nel settore del fotovoltaico ed ha creato un’ampia collezione d’arte. Il secondo, ha finito per falsificare certificati di credito con lo scanner.
Questa è la differenza fra una classe imprenditoriale – che guadagna, certo, per i rischi che corre e per le energie che investe nell’impresa – ed una di zecche lustrate a festa, solo buone a succhiare il sangue della nazione. Qualcuno s’è accorto che, con la de-tassazione degli straordinari, avverrà semplicemente che parti di produzione verranno spostate dall’area dell’orario normale allo straordinario? In pratica, elusione fiscale occulta.
Perché tutto ciò può continuare di fronte alla platea degli italiani i quali, ordinatamente, si mettono in fila – almeno 70 su 100 – per approvare Veltrusconi e i suoi Casini?
Hanno ragione quelle voci che stanno gridando da tempo – ciascuno con modi e stili diversi – al naufragio dell’informazione: Travaglio, Grillo, Barnard…
Il cortocircuito inizia nelle redazioni dei giornali e delle TV, nell’assurda catena di “supervisori” che un giovane deve superare per essere ammesso alla professione: in pratica, c’è sempre qualcuno che deve garantire per te, altrimenti sei fuori.
Quando, finalmente, il giornalista approda ad una scrivania, per anni avrà sempre un direttore responsabile che gli terrà il fiato sul collo: quando reagirà, finalmente, come i cani di Pavlov, allora riceverà la sua poltrona di comando.
Se qualcuno, poi, sgarra, sono pronte le contromisure: qualcuno ricorda perché la RAI – in anni lontani – cacciò un grande attore come Dario Fo, premio Nobel per la Letteratura ? Dario Fo fa notizia: i tanti che non s’assoggettano, finiscono fuori nel più agghiacciante silenzio.
In questo modo, la classe politica e quella imprenditoriale possono progettare, allenarsi ed eseguire i pessimi concerti che ci ammansiscono: perché non c’è contraddittorio, opinione a confronto, nulla.
E, attenzione: potremmo affermare che l’intera Europa è prigioniera del potere finanziario che si sostanzia in queste performance. Solo in Italia, però, la rappresentazione va in scena con una scenografia, oramai, sudamericana. Per quel che era il Sud America vent’anni fa.
Mediocri capitani d’industria hanno bisogno di pessimi politici, i quali si servono di sedicenti giornalisti per raccontare montagne di balle. Voilà, signori: il pranzo è servito.

Carlo Bertani articoli@carlobertani.it http://www.carlobertani.it/ http://carlobertani.blogspot.com/



[1] Fonte: Romanello, Lo Monaco, Cerullo, I veri costi dell’energia nucleare, Pisa, 2006 (pdf).
[2] International Energy Agency.

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