martedì 8 luglio 2008

Dove arriveremo?


Le notizie che leggo ogni giorno sono sempre più inquietanti. Da un po’ di tempo a questa parte sembra emergere da più parti la convinzione che ormai la grande America sia prossima al collasso da tutti i punti di vista, finanziario/economico in primis.

Più fonti sostengono che quello che abbiamo visto finora sul caso “mutui subprime” sia solo una parte di quello che deve ancora accadere (leggi crollo di altre grosse istituzioni finanziarie).

Il dollaro vale e, a quanto pare, varrà ancora di meno; si parla di un cambio a 1,75 contro euro alla fine del 2008.

Torna a questo proposito il fantasma dell’amero e della fusione fra Stati Uniti, Canada e Messico come soluzioni inevitabili.

Ma tutto questo è fantapolitica o siamo all’inizio di una nuova catastrofe?

Vi lascio alla lettura di questo articolo del sempre brillante Maurizio Blondet e in fondo un link interessante al film documentario del grande Peter Joseph per chi vuole approfondire un po’ di più il discorso sull’amero come nuova moneta al posto del dollaro e la fusione fra Stati Uniti, Canada e Messico.

Buona lettura!

SEDUTA SEGRETA AL PARLAMENTO USA di Maurizio Blondet

E’ accaduto il 13 marzo scorso. La camera dei rappresentanti degli Stati Uniti (la Camera Bassa) ha tenuto una seduta segreta e notturna, su richiesta del partito repubblicano. L’argomento in discussione, apparentemente, una proposta di legge dei democratici che, sostanzialmente, toglieva l’immunità retroattiva - voluta da Bush - alle compagnie telefoniche che hanno condotto intercettazioni delle telefonate dei loro clienti senza mandato giudiziario, com’è accaduto dopo l’11 settembre.

Il presidente Bush vuole porre il veto presidenziale su questa proposta, sostenendo che «minaccia la sicurezza della nazione». Ma i repubblicani, prima, hanno voluto la seduta segreta per convincere i repubblicani in un «onesto dibattito». A porte chiuse, senza pubblico, e di notte. Ai deputati è stato formalmente vietato di rivelare ciò di cui si è discusso, in base al regolamento interno (House Rules XVII).

Tralasciamo il fatto che nella democrazia-modello dell’Occcidente il parlamento, eletto dai cittadini, tenga sedute il cui oggetto viene sottratto alla conoscenza dei cittadini stessi. Pare che, nella storia degli USA, ciò sia avvenuto quattro volte.

Il lato agghiacciante è che - a parte un comunicato di poche righe dell’Associated Press (1), l’intera stampa americana ha scelto di ignorare il fatto; e che a dare rilievo alla notizia è stato solo lo... Australia’s National Website, un notiziario di Brisbane (2). Il notiziario ufficioso australiano è il solo a porsi le domande che il fatto doveva suscitare.

Secondo gli australiani, diversi rappresentanti sono usciti dalla sessione segreta «così furiosi e preoccupati dal futuro del Paese, che hanno lasciato filtrare qualche informazione». Perchè, a quanto pare, i repubblicani, per convincere i democratici a ritirare la proposta che limita le intercettazioni, hanno rivelato ben più che sul tema all’ordine del giorno.

I rappresentanti avrebbero ascoltato dettagli su «l’imminente collasso dell’economia USA previsto per settembre 2008, l’imminente collasso delle finanze statali per febbraio 2009, la possibilità di guerra civile in USA come conseguenza del crollo» economico. Si sarebbe parlato anche di «retate anticipate di cittadini USA insorgenti» e della loro detenzione in campi di concentramento (denominati REX 84) già costruiti sul territorio.

Ai membri del Congresso sarebbero stati promessi «luoghi sicuri» di residenza per sè e le famiglie durante i disordini. Sarebbe stata avanzata la «necessità ineludibile della fusione degli USA col Canada e il Messico» - l’uno perchè possiede le necessarie materie prime, l’altro per la manodopera a basso costo - in una nuova unione, con una nuova moneta, l’Amero, a sostituire il dollaro ormai liquefatto.

Attenzione: mentre la riunione segreta ha certamente avuto luogo ed è confermata, non è certo che i temi della seduta fossero proprio quelli della catastrofe incombente. Quelli riportati dal sito australiano, senza indicazione di fonti, sembrano echeggiare ansie e timori che corrono sul web, sui siti complottisti. Li diamo per quel che valgono.

Ma è anche vero che la misura colossale del disastro finanziario è ben lungi dall’essere valutata appieno. Le perdite per banche ed altre «istituzioni finanziarie» dovute allo scoppio delle bolle globali può avvicinarsi ai 1.600 miliardi di dollari, ossia quattro volte più di quelle ufficialmente stimate (400 miliardi di dollari) e pari ad un decimo del PIL americano.

Lo afferma il giornale elvetico Sonntags Zeitung, che riporta una valutazione di Bridgewater Associates (uno dei maggiori fondi speculativi) fondata sulla condizione degli «attivi basati sul debito» che corrono in USA, dai mutui alle carte di credito alle richieste di credito (3).

Questi crediti a rischio sono valutati a 26.600 miliardi di dollari (oltre il doppio del PIL americano) e la perdita di 1.600 miliardi risulta - molto semplicemente - dalla loro valutazione alle quotazioni di mercato anzichè alle quotazioni di comodo con cui li accetta la Federal Reserve. Ovviamente, Bridgewater dubita che le «istituzioni finanziarie» possano raccogliere abbastanza capitale, con questi chiari di luna, da coprire simili perdite.

Basta dire che rispetto all’anno scorso, le aziende americane che hanno cominciato la procedura di fallimento sono aumentate del 33%: è difficile che onorino i loro debiti con le «istituzioni finanziarie», le quali hanno venduto quei loro crediti a coriandoli a una quantità di enti, fra cui i fondi pensione.
Si aggiunga che gli Emirati Arabi Uniti stanno seriamente pensando di agganciare le loro monete non più al dollaro, ma a un pacchetto di divise, fra cui euro e yen. A questo punto, il dollaro non avrebbe più valore (a darglielo è il fatto di essere l’unica valuta che compra petrolio), e il fantomatico Amero sarebbe la sola soluzione di sopravvivenza per gli USA.

E nemmeno la metamorfosi della «democrazia americana» in una aperta dittatura in guerra contro i suoi cittadini è una semplice fantasia da blog complottisti. Tale metamorfosi è in atto dall’11 settembre 2001. Già il candidato Ron Paul, come parlamentare, ha denunciato a suo tempo che il Patriot Act - il decreto d’emergenza varato da Bush dopo il mega-attentato, con la scusa della «sicurezza» e della «terrorismo» - fu votato senza che alcun membro del Congresso avesse potuto farne previa lettura, la notte del 27 ottobre 2001, in un Congresso semi-svuotato e spaventato dalle lettere all’antrace (giunte a senatori democratici); e ai deputati e senatori fu detto che nessun dibattito sarebbe stato tollerato dalla casa Bianca, data la situazione di «emergenza». Persino William Safire del New York Times scrisse che, con il Patriot Act, il presidente Bush
«si dotava di poteri dittatoriali».

La legge che ha reso permanenti le norme d’emergenza del Patriot Act, «Domestic Security Enhancement Act» del 7 febbraio 2003, ha portato gli aspetti dittatoriali ad estremi paradossali. Anzitutto, lo stesso testo della legge è di fatto segreto; poche copie stampigliate «Confidential - not for distribution» sono state recapitate a pochi congressisti fidati. Circola ovviamente una versione - ma non ufficiale - ricostruita dal Center For Public Integrity (un gruppo di volontari), che avrebbe ricevuto gran parte del testo da una fonte federale anonima. La lettura di questo testo è agghiacciante (4).

• Section 501, Expatriation of Terrorist: Ogni cittadino americano può essere trattato come «enemy combatant», ossia arrestato e detenuto senza processo, come a Guantanamo, se incorre in una qualunque delle violazioni previste dalla Section 802 del primo Patriot Act. E cosa dice questa

• Section 802? Definisce «terrorismo» qualunque atto «che metta in pericolo la vita umana in violazione di una legge federale o di Stato»: in pratica, in così vasta dizione è compreso persino l’eccesso di velocità, che diventa «terrorismo».

• La Section 101 specifica che ogni individuo, in quanto «terrorista» secondo i criteri di cui sopra, è designato come «straniero» e dunque spogliato dei diritti in quanto «enemy combatant».
Non basta: è penalmente punibile «rilasciare qualunque informazione sulle incarcerazioni e la locazione dei detenuti», sia che la notizia venga da «un membro del governo o da cittadino comune». I funzionari di Stato non solo possono, ma sono obbligati a non rivelare nemmeno il nome degli arrestati (Section 201).

• Gli agenti preposti all’ordine pubblico sono immuni da denunce di violazione dei diritti civili che possono aver commesso (Section 312).

• Ogni raccolta di informazioni da chiunque effettuata può, a giudizio dei gestori dell’emergenza, essere considerata «attività clandestina di intelligence» per «una potenza straniera». Anche il giornalismo è reato (Section 102).

• Il governo federale può adottare i poteri di legge marziale sia all’interno che all’estero, senza bisogno che il Congresso dichiari l’esistenza dello stato di guerra (Section 103).

• Gli agenti di Stato sono immuni da persecuzione legale quando eseguono perquisizioni senza previo mandato giudiziario (Section 106).

• Si instaurano tribunali segreti a cui viene dato il potere di incriminare per «disprezzo della corte» (noi diremmo ostruzione alla giustizia) contro individui o enti che rifiutano di riconoscersi colpevoli o di incriminare altri (Section 109).

• Il governo può a suo giudizio trascurare le risultanze medico-legali (Section 127).

• La Section 321 autorizza «governi esteri» (indovinate quali) a raccogliere informazioni d’intelligence su cittadini americani e a condividere queste informazioni con altri governi astranieri.

• La Section 322 agevola i processi di estradizione, consentendo di fatto alla Homeland Security di estradare senza formalità, e in segreto, chiunque verso qualunque Paese. Eccetera eccetera.

Basta questo per intuire che, al confronto, il KGB o la Gestapo sono stati legalmente più ristretti nelle loro attività. Un simile decreto non ha giustificazione se non, appunto, nella previsione di un «dopo» per il potere attuale. Chi ha organizzato la guerra mondiale al terrorismo può benissimo averne voluto e previsto le ultime conseguenze, fino alla fine del sistema americano, fino al collasso economico e al disordine civile armato. Con la scusa della emergenza e della «sicurezza», in caso di crisi assoluta, la democrazia-modello si prepara a diventare uno Stato di oppressione, concentramento e razionamento.


Lo Stato dell’Apocalisse: «Quanti non avessero volute adorare l’immagine della bestia, ordinava che fossero uccisi. S’adoperava inoltre che a tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, fosse impresso sulla mano destra o sulla fronte un marchio, in modo che nessuno potesse comprare o vendere all’infuori di coloro che portavano il marchio, ossia il nome della bestia».

1) «House goes behind closed doors to debate surveillance bill», Associated Press, 14 marzo 2008.
2) «What was discussed at a closed session of the US House of Representatives?», Australia.To,
23 marzo 2008.
3) «Financial market losses could top 1,600 billion dollars: report», Earth Times, 6 luglio 2008.
4) Comunicazione di Webster G. Tarpley all’autore, 15 dicembre 2004.

Link a questo articolo : http://www.effedieffe.com/content/view/3835/164/

link al documentario: http://zippiweb.blogspot.com/search/label/zeitgeist

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Nuovi segnali di insofferenza


TEDESCHI DISSOCIATI DALL'EURO di Maurizio Blondet

Un biglietto da 100 euro equivale a un biglietto da 100 euro. Giusto? No, secondo i cittadini tedeschi. Il giornale popolare Handelsblatt rivela un curioso comportamento: quando vanno in banca a ritirare contanti, i tedeschi controllano le banconote per vederne l’origine; quelle stampate nell’area mediterranea se la fanno scambiare con banconote «Made in Germany» (1).

I bigliettoni stampati in Germania sono riconoscibili in quanto esibiscono una X davanti ai numeri di serie; il che li distingue da quelli fabbricati dalla Moneda iberica (che hanno una V) e dal nostro Poligrafico, dove il numeri di serie sono preceduti da «S».

Ogni Paese stampa un numero di banconote in stretto rapporto con il suo peso economico, secondo regole severe della Banca Centrale Europea. E in ogni caso si tratta di «moneta ex nihilo», non coperta da alcun tallone. Di conseguenza, la preferenza dei tedeschi per i loro euro nazionali sembra del tutto idiota.

Se la preferenza è giustificata per chi compra BOT - e infatti i BOT italiani pagano un interesse maggiore dei BOT tedeschi, per convincere i risparmiatori a comprarli da un debitore poco credibile, e questa forbice ( «spread») tende ad allargarsi - non ha alcun senso quando si prendono contanti.

Le banconote in euro sono perfettamente intercambiabili in tutta la zona euro, anzi nel mondo. Solo in un caso i cento euro stampati a Madrid o ad Atene, a Roma o a Lisbona, potrebbero valere meno dei cento euro fabbricati in Germania: se l’unità monetaria si spaccasse. Oppure in caso di caotica crisi, estrema.

Avvenne in USA nel decennio attorno al 1840, sotto la presidenza di Andrew Jackson, quando banconote in dollari stampate in differenti Stati erano scambiate a valori diversi (ma allora circolavano dollari «privati», emessi da oltre un migliaio di banche locali). Può succedere?

In fondo, oscuramente, i tedeschi lo pensano. Molti di loro hanno una casa di vacanza in Spagna, e ne hanno visto crollare il valore di mercato. Vedono come fumo negli occhi i tentativi di Parigi - cui si aggiungono Spagna e Italia - di dettare alla Banca Centrale Europea un ribasso dei tassi, il che indebolirebbe il cambio dell’euro, e sarebbe una «intrusione della politica» nel regno immacolato della moneta, che gli impolitici tedeschi credono meglio abbandonare ai tecnici, secondo loro immacolati. Soprattutto, i consumatori germanici vedono l’inflazione che galoppa.

Le autorità tedesche hanno ammesso quello che gli altri governi europei tacciono, o su cui alzano fumo: che l’inflazione in Germania è all’8,1%, un livello mai visto da un quarto di secolo. E in Germania si ricorda l’iper-inflazione degli anni ‘20 come il grande incubo nazionale. Si ricordano ancor meglio dell’inflazione del 1948, che fu provocata da una riforma monetaria: gli attivi finanziari dei risparmiatori furono tosati anche del 90%. Il problema si ripresenta.

Se l’inflazione è all’8% reale in Europa, i risparmiatori che mettono il loro gruzzolo in banca (al tasso massimo del 3,20% pronti-contro-termine) o in BOT al 4,6% (lordo), si accorgono di venire - ancora una volta - semplicemente derubati dei loro risparmi dalle banche usurarie. Le quali in Europa si procurano il denaro di cui hanno estremo bisogno dati i loro problemi di liquidità, a costo zero. Anzi negativo.

Il liberismo terminale non retribuisce il capitale, lo tosa e lo distrugge. In tutto il mondo la ruberia dei risparmi è in corso, con tassi bancari che regolarmente non coprono l’inflazione. La finanza anglo-americana accusa (come al solito) gli altri, anzitutto i Paesi emergenti (2). Per esempio la Russia, dove l’inflazione supera il 15% ma l’interesse che si dà ai depositi non arriva all’11%. O il Vietnam, inflazione al 25%, e interessi al 12%.

Ma naturalmente la causa motrice di tutto è la Federal Reserve: che per tenere a galla le sue banche speculatrici e in rovina non ha fatto che abbassare i tassi, perchè abbiano denaro a basso costo. Ciò favorisce gli USA - dove non esistono risparmiatori, ma solo indebitati, dalle famiglie allo Stato, quindi favoriti dai bassi tassi - ma è un disastro per Paesi dove si risparmia ancora. Come in Germania o, sempre meno, in Italia.

Attualmente 3 miliardi di esseri umani nel mondo sono sotto la bufera dell’inflazione che rode i loro averi monetari. Senza contare lo Zimbabwe (inflazione, un milione per cento) si va dal 25-30% di Argentina e Venezuela, al 21% egiziani; dal 14% del ricco Katar all’8-9% di Cina e India, che forse è l’11-12%.

La causa, ovviamente, sta negli Stati Uniti: che stanno facendo pagare il loro immenso deficit commerciale e pubblico agli altri, svalutando il dollaro. Quanto agli «altri», i loro governanti e capi delle Banche Centrali hanno creduto di fare i furbi comprando a man bassa buoni del Tesoro USA per mantenere alto il tasso di cambio delle loro monete, e dunque più competitive le loro esportazioni.

Hanno comprato i Bond americani stampando la loro moneta nazionale in libertà: ora questa affoga i mercati interni causando la fiammata inflattiva, mentre i Bond USA che hanno accumulato in cassaforte si sciolgono come gelati d’agosto. Ora stanno diversificando comprando euro, attratti dal tasso di ben due punti più alto che quello del dollaro. Ma dato che Trichet ha anche lui stampato moneta per salvare le banche, l’euro è un ben pericoloso rifugio contro l’inflazione.

Trichet vuol far credere di «controllare» l’inflazione tenendo fermo il tasso ad oltre il 5%, e minacciando di aumentarlo. Ma se proprio volesse prendere la misura reale, dovrebbe alzare il tasso più dell’inflazione, ossia sopra l’8%, per retribuire i risparmi. Il che è ovviamente improponibile, con i milioni di gente che ha il mutuo a tasso variabile e le aziende che già non riescono ad esportare. Ma con le mezze misure non si ottiene nulla. Finchè si adottano mezze misure, i prezzi non caleranno, e avremo inflazione più stagnazione.

Se non dovessimo mangiare ogni giorno, sarebbe interessante osservare come il sistema liberista mondiale imposto dal Washington consensus, e portato all’assurdo dogmatico da Bush, si stia sgretolando pezzo per pezzo.

La globalizzzazione aveva promesso prezzi bassi, e tutto rincara. I tedeschi non credono più all’euro e hanno di fatto ricreato il marco. Le banche americane, nonostante tutti i sostegni pubblici della Federal Reserve, continuano a crollare (l’ultima è la Lehman). La Turchia, membro della NATO e soggetta agli USA, ha praticamente stretto un’alleanza con l’Iran, scambiando con Teheran intelligence e coordinando le azioni militari contro il comune nemico, i kurdi (3).

Le minacce di Bush e di Israele all’Iran hanno l’effetto di rincarare ogni volta di più il prezzo del petrolio, con ciò mettendo nelle tasche dell’Iran profitti sempre maggiori, ed aumentandone l’importanza strategica nella regione agli occhi di Cina ed India, i suoi clienti (4).

Quanto alla Cina, metà delle 800 fabbriche di scarpe nel Guangdong hanno chiuso, e migliaia di piccole fabbriche tessili hanno il fiato corto (per cause convergenti: inflazione, apprezzamento dello yuan, costo dei trasporti crescente, rincaro dell’energia). La federazione industriali di Hong Kong avverte che diecimila aziende che operano nella Cina meridionale potrebbero presto fallire.

Insomma la globalizzazione predicata dalle armi USA sta crollando su se stessa, spargendo miseria anche fra i «favoriti». Il tutto sotto un regime di menzogna ufficiale che gabella l’inflazione al 5%, come le armi di distruzione di massa di Saddam e la bomba atomica di Teheran.

In questa situazione, c’è però qualcuno che continua a credere che Bush sia un buon cristiano ed abbia fatto la cosa giusta: il Santo Padre. Ovviamente, è meglio informato di noi: dal cardinal Bertone - il segretario di Stato tifoso di calcio - e dal «politologo» Vittorio Emanuele Parsi, messo in cattedra alla Cattolica come fantolino di Ruini, e che sta ancora studiando da Katz. Alle elementari.

1) Ambrose Evans-Pritchard, «Support for euro in doubt as Germans reject Latin bloc notes» Telegraph, 13 giugno 2008.
2) Ambrose Evans-Pritchard, «Emerging markets face inflation meltdown», Telegraph, 13 giugno 2008. Stephen Roach, «The new stagflation: an Asian export», Financial Times, 12 giugno 2008.
3) Gareth Jenkins, «Turkey admits coordination with Iran», Asia Times, 13 giugno. «On June 6, General Ilker Basbug, the commander of the Turkish Land Forces, confirmed that Turkey and Iran were sharing intelligence and coordinating military operations against the Kurdistan Workers’ Party (PKK) - which is primarily composed of Turkish Kurds - and its Iranian affiliate, the Kurdistan Free Life Party (PJAK). (…) Turkey and Iran first signed a memorandum of understanding (MoU) on security cooperation on July 29, 2004, three months after PJAK’s inaugural congress in April 2004 and two months after the May 2004 decision by the PKK to return to violence following a five-year unilateral ceasefire. This agreement was reinforced on April 17, 2008, by a new MoU which foresaw a broadening and deepening of security cooperation between the two countries».
4) Robert Baer, «How Iran has Bush on a barrel», Time, 11 giugno 2008. «The Iranians haven’t been shy about making clear what’s at stake. If the U.S. or Israel so much as drops a bomb on one of its reactors or its military training camps, Iran will shut down Gulf oil exports by launching a barrage of Chinese Silkworm missiles on tankers in the Strait of Hormuz and Arab oil facilities. In the worst case scenario, seventeen million barrels of oil would come off world markets (…) Four-dollar-a-gallon of gasoline only reflects $100 oil because the refiners’ margins are squeezed», he said. «At $300, you have $12 a gallon of gasoline and riots in Newark, Los Angeles, Harlem, Oakland, Cleveland, Detroit, Dallas».

Link a questo articolo : http://www.effedieffe.com/content/view/3561/179/

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