venerdì 11 luglio 2008

Iran: la guerra si avvicina


Sembra proprio inevitabile, Bush deve per forza invadere l'Iran.
E si, perchè è proprio cattivo e così temibile che alla fine se non viene fatta un'altra guerra preventiva chissà cosa potrebbe combinare.
E' chiaro che anche stavolta le motivazioni sono ben altre. Come è già successo per l'Iraq assisteremo anche in questo caso a delle non-scoperte come le presunte armi di distruzione di massa di Saddam? Per poi vedere in mondovisione Bush e l'allora amichetto Blair dover ammettere che le armi di Saddam non esistevano. Che furbizia! Che figure!
E il bello è che questi signori credono davvero che tutta l'opinione pubblica si beve tutte queste storie!
Mi viene ancora in mente quando qualche anno fa in televisione hanno mandato la notizia che è stato visto il Mullah Omar ( braccio destro di Bin Laden ) scappare in moto(arghh!) al confine con il Pakistan: mi sono detto, pensando agli americani, alla faccia di tutte le tecnologie!
Oggi solo con i satelliti riescono a vedere quando fai la pipì e si lasciano scappare uno in moto?
Vi lascio adesso alla lettura di un articolo interessante del sempre lucido Maurizio Blondet.
Fatemi sapere cosa ne pensate!

La "moralità" dell'Occidente di Maurizio Blondet
Teheran ha lanciato nove missili, fra cui uno Shahab con raggio presunto di 2 mila chilometri - e tutto l’Occidente grida di sdegno: «L’Iran ci minaccia!». La Rice in Bulgaria s’è stracciata le vesti: «Chi vuole parlare agli iraniani, chieda loro la portata dei missili che hanno sparato. Germania, Francia e Italia si sono uniti nella condanna». Il nostro ministro Frattini, parlando da Israele (è sempre lì, avete notato?) ha ripetuto la lezione: «Sono missili molto pericolosi, ecco perchè non solo Israele ma l’intero Occidente ha interesse a bloccare questa escalation in modo definitivo» (1). Con le bombe, insomma.

Come cittadini, dovremmo vergognarci, anzitutto, della nostra cortissima memoria. Non è passato nemmeno un mese da che Sion ha condotto una spettacolare esercitazione aerea sullo spazio greco-mediterraneo - con oltre cento caccia-bombardieri ripetutamente riforniti in volo per mille chilometri - lasciando capire che si sta preparando ad un attacco preventivo contro l’Iran.

Sono solo due settimane che Symour Hersh, il grande giornalista, ha rivelato come le forze armate USA, su ordine presidenziale, stiano conducendo già da un anno operazioni speciali nel territorio iraniano, sia con loro commandos che penetrano dal sud iracheno, sia armando gruppi etnici e sovversivi in Iran; operazioni che comprendono «assassinii mirati» contro personalità militari persiane, e la cattura di membri delle forze di elite della guardia rivoluzionaria iraniana, che vengono poi portati in Iraq per «interrogatorii» (2).

Questi israeliani e americani sono già atti di guerra, preventivi, illegali e non provocati, contro la Persia. Dovremmo ricordarcelo. E questi sì, dovrebbero sdegnarci e allarmarci. Invece ci sdegnamo e ci allarmiamo: l’Iran ci attacca. E’ l’Iran che provoca. Che cosa dovrebbe fare un Paese debole, senza alleati, quotidianamente minacciato dalla super-potenza e dal suo Agnello super-armato?

Ma i gestori della propaganda fidano della nostra ignoranza non meno che dei nostri pregiudizi e della nostra memoria corta. Sanno che possono farci paura raccontandoci che il Shahab-3 iraniano ha 2 mila chilometri di gittata, quanto basta per colpire Israele.

Non ci dicono il resto: che questo Shahab è la copia di un vecchio missile nordcoreano, il Nodong, la cui precisione è derisa da tutti coloro che se ne intendono. E ovviamente, sugli Shahab non c’è una testata nucleare: l’Iran non ne ha, e soprattutto non è in grado, e non lo sarà per molti decenni, di miniaturizzare un’arma atomica per adattarla a un missile. Dunque gli Shahab-3 hanno, al massimo, testate di esplosivi convenzionali. In caso di guerra, la loro efficacia sarà quella degli Scud errabondi di Saddam, nella prima guerra del Golfo. Militarmente zero.

I propagandisti non ci dicono nemmeno la frase pronunciata, dopo il lancio dimostrativo dei missili, da un’alta personalità militare, il generale di brigata Mohammad-Najjar: «La nostra capacità missilistica ha scopi soltanto difensivi, per la salvaguardia della pace in Iran e nel Golfo Persico... I nostri missili non saranno usati per minaccciare nessun Paese, sono solo per coloro che osassero attaccare l’Iran».

Questo si chiama, in buona strategia, «deterrenza». Dal latino «deterreo», dissuado facendo un po’ di paura. Deterrenza è l’atteggiamento non di chi attacca, ma di chi - sotto minaccia - cerca di dissuadere l’attacco altrui. Ma nella nostra moralità occidentale, l’Iran non ha diritto alla deterrenza; Israele ha diritto all’aggressione preventiva. A noi ignoranti senza memoria nemmeno di breve termine, non è chiara l’estrema disparità di forze tra USA-Israele e l’Iran.

Ci fanno credere che l’Iran possa davvero esercitare una qualche rappresaglia contro il volume di fuoco delle portaerei americane già nel Golfo (la USS Lincoln ci è stata spostata in questi giorni), di una potenza che dedica alle spese di armamenti due-trecento volte di più di Teheran.

Un ottimo giornalista conoscitore dell’area, Pepe Escobar, ci fornisce qualche informazione sulla forza militare di Teheran (3). Il generale Muhammad Ali Jafari, che è da settembre 2007 comandante supremo delle Guardie della Rivoluzione Iraniana (l’esercito), ha intrapreso - come ha spiegato lui stesso una settimana fa al giornale iraniano Jam e-Jam - una radicale riorganizzazione delle forze armate del Paese, con la sostituzione di molti comandanti regionali.

Essa consiste in una fusione fra forze regolari e milizie «rivoluzionarie», specialmente di Pasdaran (il gruppo di elite) e la milizia Bassij, e il radicale decentramento di queste unità. «In pratica, l’Iran ha ora 30 eserciti», scrive Escobar, «uno in ogni provincia, ciascuno con comando unificato per Pasdaran e Bassij, e i due corpi conducono esercitazioni insieme». Esfandiari Safari, che scrive per il giornale Rooz, ha spiegato che la riorganizzazione «è la risposta dell’alto comando delle Guardie della Rivoluzione all’attacco imminente che si attende».

Vi dice niente la natura di questa riorganizzazione? Il senso di un tale decentramento? Esso non ha nulla di offensivo; è l’assetto difensivo di chi si prepara ad una resistenza sulla propria terra, in vista di un’invasione; i comandi sono moltiplicati e resi autonomi in modo che non ci sia un quartier generale da schiacciare, e le unità possano operare senza ordini, vivendo del territorio, fra gli abitanti connazionali; è il tipico assetto della guerriglia partigiana.

Non c’è dubbio che possano combattere ad oltranza. Tanto più che la Guardia della Rivoluzione è stata dichiarata «organizzazione terroristica» dalla Casa Bianca, e dunque i suoi combattenti sanno che, se cadranno in mano al nemico, subiranno il destino degli «enemy combatants», come ad Abu Ghraib e a Guantanamo. «Interrogatori» con tortura, detenzione a vita, soppressioni mirate.

Ma naturalmente non ci sarà alcuna invasione, contro cui quest’armata partigiana possa provare il suo valore. L’attacco verrà dal cielo, dal cielo saranno liquidati; l’assetto guerrigliero ha qui qualcosa di commovente e patetico. E noi ci facciamo spaventare da quel che dice Frattini.

Che vergogna, la nostra. Nemmeno capiamo che questa guerra è contro di noi, sudditi occidentali (4).

1) «Iran tests missiles, increasing tension with the West», Zaman, 10 luglio 2008.
2) Seymour Hersh, «Preparing the battlefield», New Yorker, 7 luglio 2008.
3) Pepe Escobar, «Iran’s missiles are just for show», Asia Times, 11 luglio 2008.
4) Anche la sanguinosa sparatoria avvenuta in Turchia contro l’ambasciata USA - non un attentato, men che meno suicida, ma un atto di guerriglia - viene più o meno allusivamente presentata come collegata ai missili di Teheran; un portavoce USA (l’ho sentito per radio) ha dichiarato che «non può nè smentire nè confermare» che gli attentatori fossero «di Al Qaeda». Ovviamente gli attentatori sono invece curdi; i quali hanno le loro buone ragioni per sentirsi traditi dagli americani. Questi hanno promesso loro uno Stato curdo ritagliato dall’Iraq, secondo il piano di smembramento del Paese per linee etnico-religiose; ma hanno dovuto acconsentire alla Turchia di violare questo staterello curdo, da cui partivano gli attentati anti-turchi. «Al Qaeda» non c’entra nulla, e men che meno l’Iran. L’Iran sta combattendo i curdi insieme alla Turchia, dalla parte opposta del confine.

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